VMware è morta?

12 Ottobre 2015

Ultimamente si è parlato spesso di "software-defined datacenter", un'estensione del software-defined networking che ha portato al software-defined storage e ai software-defined server – tre elementi che culminano nel software-defined datacenter.
In ultima analisi non si tratta altro che di rendere l'infrastruttura facile da installare e da gestire.




Esistono due diverse scuole di pensiero circa la strada da percorrere per raggiungere questo traguardo. Una prevede il consolidamento delle funzioni di gestione in un unico layer amministrativo (per intenderci, è la via scelta da VMware).
Per esempio, le funzionalità storage delle SAN fisiche e virtuali continuano a spostarsi all'interno di vSphere per essere gestite centralmente anziché dover amministrare i vari dispositivi attraverso console separate. La stessa strategia sta emergendo anche nella gestione di rete.
Da diversi anni la tendenza verso la virtualizzazione incarnata da VMware è considerata come la strada naturale, se non l'unica, verso l'ambito traguardo.
Anche se consolidare i layer di gestione è un passo avanti notevole, tuttavia non capitalizza l'elemento più potente del trend della virtualizzazione: quello per cui i modelli mentali relativi all'infrastruttura non si applicano più del tutto.

Abbiamo parlato di consolidamento della gestione della SAN e della gestione dell'hypervisor in una singola console.
Questa strategia si basa su un modello mentale che traduce i server fisici e i sottosistemi storage fisici in un mondo virtuale dotato degli stessi componenti e largamente amministrato allo stesso modo, solo magari con meno hardware fisico sottostante.
Lo storage viene configurato e installato.
I server vengono configurati e installati.
I protocolli storage collegano i server allo storage.

È lo stesso modello mentale del mondo fisico, con l'unica differenza di essere gestito all'interno di un mondo virtuale.
Quel che non si capisce è che in un mondo realmente convergente questi modelli mentali risultano irrilevanti e arcaici.
Quando server, storage e virtualizzazione convergono davvero, non esistono più differenze fra questi tre componenti, salvo quelle che possiamo creare noi artificialmente.

Cambiando i modelli mentali ed eliminando queste barriere emerge un'opportunità di enormi progressi per l'infrastruttura IT anziché semplici miglioramenti incrementali.
Un mondo veramente iperconvergente richiede molto più che consolidare il layer di gestione SAN: si tratta di eliminare del tutto il concetto di SAN.
Con l'iperconvergenza spariscono la SAN, i suoi protocolli e i suoi requisiti di gestione.
I vantaggi della SAN tuttavia rimangono: storage condiviso, ridondante e scalabile accessibile a tutte le applicazioni.
Ciò che viene completamente rivisto, automatizzato e reso trasparente è il deployment e la gestione di questo storage pool. Non ci sono più protocolli in gioco né LUN da gestire.
Questo è il vantaggio che scaturisce da un cambio del modello mentale. Il consolidamento della gestione è un passo avanti. L'eliminazione definitiva dei layer di gestione è un salto evolutivo.
 
Questo tipo di trasformazione è ciò che rende tanto interessante il concetto di software-defined datacenter. Per i clienti di medie dimensioni, l'iperconvergenza di HC3 lo rende disponibile già oggi.
HC3 comprende un layer storage scale-out integrato che alcuni potrebbero considerare come uno storage pool simile al cloud, dal momento che può essere ampliato facilmente all'occorrenza (al contrario dell'architettura monolitica basata su controller).
Tuttavia HC3 è uno dei pochi sistemi sul mercato a comprendere un hypervisor di virtualizzazione strettamente integrato con lo storage pool in un singolo kernel di sistema operativo senza complessi data path di VSA e senza la complessità dei protocolli storage come NFS o iSCSI.
Inoltre HC3 comprende le proprie funzioni di gestione e caratteristiche avanzate come failover delle VM e migrazione livesenza costi aggiuntivi.
Non si tratta di un prodotto "tutto in uno" bensì di un sistema scale-out clusterizzato che abbraccia più "dispositivi" facendoli funzionare come un solo sistema unificato in grado di accrescere la capacità e le prestazioni storage e/o di calcolo senza richiedere il fermo del sistema stesso. 
 
 (Tratto dal blog di Scale Computing)

Autore
Claudio Panerai
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Nato a Ivrea nel 1969, è sposato e padre di due figlie. Laureato in Scienze dell’Informazione nel 1993, ha dapprima svolto numerose consulenze e corsi di formazione per varie società per poi diventare responsabile IT per la filiale italiana del più grande editore mondiale di informatica, IDG Communications. Dal 2004 lavora in Achab dapprima come Responsabile del Supporto Tecnico per poi assumere dal 2008 la carica di Direttore Tecnico. Giornalista iscritto all’albo dei pubblicisti, dal 1992 pubblica regolarmente articoli su riviste di informatica e siti web di primo piano. Stimato da colleghi e clienti per la schiettezza e l’onestà intellettuale. Passioni: viaggi, lettura, cinema, Formula 1, sviluppo personale, investimenti immobiliari, forex trading. Claudio è anche su LinkedIn e Facebook.
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